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Il non amore virtuale

di Ettore Zanca e Viviana Trifari

Le chiedo scusa… prego, non è niente
potremo anche darci del tu
lei è così seria, è anche intelligente
come vorrei conoscerla di più.
E poi, e poi, e poi…
Le strofe di Giorgio Gaber, il signor G e L’amore. Negli anni in cui nacque questa canzone, si immaginavano un uomo e una donna, che si incontravano per strada. Si guardavano negli occhi, sentivano un profumo che li accompagnava e lasciavano cullare le loro sensazioni in notti insonni di precarietà. La speranza di incontrare di nuovo la persona che faceva battere il cuore. Senza dover chiederne il nome per essere amici su Facebook. Mentre adesso, qui, vedo un uomo e una donna immersi nei loro telefonini, che cercano gli occhi cerulei di qualcuno dell’altro sesso a chilometri di distanza. La metro sobbalza con la fretta di lasciarci tutti.

La verità è che ormai “condividiamo” più attraverso lo schermo di uno smartphone, che davanti a un caffè. Raccontiamo di noi più al “Cosa stai pensando?” di FB, che ad un amico. Abbiamo meno timore di riempire di cuoricini un profilo su instagram, piuttosto che scrivere due parole d’amore alla persona che ci piace.
Non si condivide più uno sguardo, un’emozione o una sensazione e non si condividono più per due motivi: non c’è una “barriera di 5 pollici” a mettere la giusta distanza tra te e l’interlocutore, e un solo interlocutore, poi, non basta più, per le manie di egocentrismo incentrate su un’insicurezza dovuta proprio al non misurarsi più nella vita reale, si ha bisogno di una platea vasta, vasta quanto più possibile. Più visualizzazioni, condivisioni, like e commenti avrò, più riuscirò a sentirmi “arrivato”.

Come sei bella
come sei bella
ho tanto bisogno di te.
Tu sei la donna della mia vita
ti chiedo di stare con me
perché ti amo, perché ti amo
ma com’è bella la vita in due!
Un cuore che batteva di presenza, senza troppe foto immediate, che fugassero ogni fantasia erotica o la rafforzassero. La donna chiama un suo fidanzato perso chissà dove, l’uomo sta lacrimando al telefono mentre sente sicuramente parole di addio dall’altro lato. Il dolore e la gioia ci raggiungono più facilmente, questo non so se sia bene o male. Nel mentre vedo i loro occhi vagare alla ricerca di pixel di speranza o di delusione. Lei dopo aver chiuso col fidanzato, sta indagando i suoi movimenti sui social, a riprova della sua diffidenza.

E a cosa serve più quindi il misero commento, neanche “lasciato ai posteri”, di una donna o un uomo che vede in te “un possibile futuro”? Niente. Non serve più a niente. Il futuro è qui, è fast food, è junk life, è “postare” più che vivere, è vivere per darlo a vedere. E quindi capita che per chiedere di uscire inviamo un messaggio vocale, guai a telefonare : “ e se fossi invadente”? Capita che ci sentiamo in difficoltà se incontriamo una persona ad una festa, e non facciamo altro che trascorrere le seguenti tre ore cercando di capire come si chiami, per richiederle poi l’amicizia su un social.

Ti voglio bene, mi sono affezionato
ma a volte mi sento un po’ giù.
Non faccio scene, ho sempre sopportato
da tempo non parliamo quasi più.
E poi, e poi, e poi…
Come eravamo in quei lunghi silenzi in cui il nostro dito non poteva scorrere un acquario blu fatto di like? Come eravamo quando il nostro punto di fuga, era un tradimento fugace consumato nell’area di un motel, con persone che rientravano a casa dalle famiglie. E magari la sera uscivano insieme da amici. Amavamo, tradivamo,volavamo via. Ma sicuramente con meno risorse e con più fantasia. Lei guarda fuori e fa un paio di numeri di telefono, ancore di salvezza di una vita che deve scorrere con fotografie in cui dimostriamo che ci divertiamo anche col cuore a pezzi. Lui si alza dal suo posto, ancora col telefono attaccato alla mano, una protesi di speranza.

Ed è tristissimo che ci si senta sempre in difetto, quando il cellulare è in tasca, quando ci si sente indiscreti solo se si cerca di capire se è possibile guardare un film insieme il week end successivo, perché è già troppo “prospettiva di coppia”: “perché io vivo alla giornata, che non lo sai”? Non sappiamo più guardarci negli occhi, ci sentiamo nudi eppure siamo dei “selfisti compulsivi”, i complementi di tempo riusciamo ad usarli solo se non vanno oltre il saluto di commiato e se qualcuno ci “usa” una gentilezza stiamo lì ad aspettarci anche il conto da pagare.

E poi, quando ci sono i figli… no, non possiamo. E i nostri genitori?… beh, quello è il meno…
Certo che è dura: gli amici, la gente, anche il lavoro… No, non possiamo lasciarci… E allora? Continuare così per i figli, per tutti, la risata davanti agli altri, tutto tranquillo, regolare… il tradimento piccolo borghese, la falsità, la commedia, la meschinità, e poi, e poi, e poi…

La quotidianità è diventata un lusso. Un lusso impegnativo, che prevede attenzione e costanza, che non si può disconnettere o tenere off line, un lusso così semplice e vero che diventa sfarzo, che viene visto come un “di più” come “il superfluo” di cui si può fare a meno, perché in un’epoca di slogan e tweet, fermarsi, concedersi e dilungarsi costa “fatica”. 140 caratteri contro 1, un tweet a discapito di un sospiro, un like senza sguardi, e via così, che di tempo per conoscersi in chat sempre ce n’è, io col mio bicchiere di vino sul mousepad, tu con la tua pinta chiara in una birreria col wi-fi free.

Mi alzo, mentre incrocio anche io una donna che li ha osservati, forse ha pensato al male virtuale di questa difficoltà di amare con continuità. Tra poco anche io affronterò la mia strada verso casa, chiamerò il mio amore lontano. Fatto di pendolarismi e sacrifici, di weekend rubati e di baci da un finestrino di treno. Perché l’amore post social è così. Se decidi di affrontarlo con impegno, ti fa trovare la donna con cui provare a fare una vita a chilometri lontani da ogni logica. Ma si sa. la logica è contraria al coraggio. Guardo la donna seduta, insieme abbiamo seguito le sofferenze da smartphone, chissà, forse anche lei insegue qualcosa lontana ben più di una fermata di metro. La guardo con l’aria di chi dice “non possiamo farci nulla”, lei sorride di traverso e guarda fuori. Chissà dove.


Commenti (1)

  • laura

    |

    Lo spirito dei tempi
    Un esatta e triste costatazione di fatto. Però è vero che tante anime affini si sono ritrovate a suon di like

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