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Buon tango a me

I primi anni era come un amore appena nato, di quelli totalizzanti, di cui non puoi fare a meno, a cui pensi appena apri gli occhi e a cui pensi prima di addormentarti. Io il tango l’ho incontrato in un momento difficile, credo un po’ come tutti. Andavo a tutte le lezioni, mi buttavo in milonga con l’incoscienza della principiante. Nei negozi guardavo schifata gonne aderenti e jeans perché “per ballare non vanno bene”. Come se una vita non ce l’avessi più, perché in fondo non ce l’avevo più.

Poi sono arrivati i viaggi, gli amici in giro per l’Italia, i festival e le maratone. Le mansarde condivise, le colazioni in pigiama, le notti gelide di Mantova e la campagna toscana, i chilometri di asfalto in Emilia Romagna e i vicoli di Napoli, il vento freddo dell’alba al castello Maniace e quella milonga a Madrid. I letti sconosciuti che ti ospitano e ti accolgono, gli abbracci e i sorrisi, il calore. Le risate, le amiche, le chiacchiere.

Non vado a una maratona da non so quanto tempo, forse sono passati tre o quattro anni. E a un certo punto mi è mancato tutto questo. Mi è mancato quel pezzetto di vita che mi ha reso più autonoma proprio nella condivisione. Mi sono mancati gli abbracci accoglienti cullati dalla musica, le tande belle (e pure quelle da cui cerchi di scappare), pranzi e cene in queste tavolate enormi, il sonno alle 5 di mattina e i piedi che ti fanno male.

L’ho fatto d’istinto, una domenica mattina, in un momento di difficoltà, mentre la tristezza mi stringeva: mi sono iscritta e torno a una maratona, torno con l’emozione della principiante. E io lo so che sembrerà una cosa cretina, ma torno a riprendermi un pezzetto della mia vita, quella che mi ha fatto crescere.

 

Foto di Massimiliano Orazi


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