“A pappate”
Mi sono sempre buttata nelle cose a capofitto, nelle cose e anche nelle persone. Mio padre diceva che sono “a pappate”, che non so manco bene cosa significhi, credo “a poppate” come un bambino affamato che ciuccia il latte.
Oppure mi piace pensare che significhi a boccate, come chi respira con boccate avide, ingorde e discontinue. Comunque, io sono a pappate. Ho sempre un entusiasmo smisurato, un coinvolgimento eccessivo, prendo tutto di petto.
È stato sempre così, a volte anche nelle amicizie e con gli amori. È stato così con la piscina, c’è stato un periodo in cui stavo in vasca almeno un paio d’ore, ogni giorno. Mi era venuto un culo da favola.
È stato così con il tango, totalizzante per anni (in questo caso il risultato era un punto vita magnifico) e poi mollato, ma quella è un’altra storia: non reggo più tutta la notte in milonga ma se vedo un video o sento un pezzo di Fresedo tremo ancora dentro.
Tutte cose che mi hanno sempre dato gioia comunque. Lì e ora.
Per ora la pappata, l’ultima, è andare a correre, anche se correre si fa per dire. Mi alzo alle cinque e mezza, alle sei e un quarto sono per strada, le cuffie, Baglioni e via, cinque o sei chilometri. Ora, magari prima o poi mi passa anche questo, anzi mi passa sicuro. Però intanto stamattina ho continuato a correre sotto la pioggia, sono arrivata a casa fradicia . Fradicia e felice, e chi se ne frega se poi mi passa l’entusiasmo. Qui e ora.
Vedi tu poi se non sono pazza da attaccare, felice alle sette del mattino, sotto l’acqua.