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Il post(o) delle fragole

Quando ero piccola e andavo a trovare mio nonno in campagna, mi prendeva per mano e mi portava a raccogliere le fragole.

Le puliva, là stesso, alla bell’e meglio (senza troppe fisime, e non sono morta), e io le mangiavo. Credo di non aver mai più assaggiato fragole così buone. Non so se è la suggestione del ricordo o il fatto che fossero coltivate senza aggiungere nulla che non fosse naturale, ma erano le più buone.

Quel sapore è un ricordo che mi è rimasto, io che della mia infanzia ho conservato pochi particolari, come se la mia memoria fosse quella di un pc resettato per fare posto ad altre informazioni. E quel ricordo quasi unico mi è tornato in mente poche settimane fa, ho quasi risentito il sapore di quelle fragole. Perché nella Palermo della munnizza e dei parcheggi in doppia fila, dell’ignavia e del minnifuttu, c’è anche chi sceglie di togliere la cravatta, di riporre il tailleur nell’armadio, indossare le calosce e andare a coltivare l’orto.

Oltrepassando il cancello di Villa Spina, in via dei Quartieri, a due passi dal caos e dal traffico, attraversi un lungo viale. E più ti inoltri, più inizi a respirare un’aria diversa. Sembrerà banale, ma per me è stato così. Alzi gli occhi e al di là della recinzione in fondo vedi sfrecciare le auto davanti alla Palazzina Cinese. Ma basta tornare a guadare quei piccoli fazzoletti di terra per tornare un po’ bambina. In un altro posto, senza tempo. E non importa se ti stai sporcando le scarpe nuove, mentre stai attenta a non schiacciare un piccolo germoglio che il tuo occhio non allenato non sa riconoscere.

Ci sarà un motivo se chi ha avuto quest’idea, ossia Fausto Terranova, li ha chiamati “Gli orti delle Fate”. Sono “orti condivisi”, un piccolo fazzoletto di terra assegnato dopo qualche mese di attesa perché le richieste fioccano. Accanto un altro, e un altro, e un altro ancora. Presi in affitto da chi non fa il contadino ma di mestiere fa tutt’altro, come il giornalista o l’architetto. Ciascuno pianta quello che desidera, ci si scambiano consigli, ci si ingegna contro i piccioni, si benedice la pioggia e si maledicono le lumache. I primi orti condivisi sono nati a Boccadifalco, dove oggi chi ha un orto può anche prendere in affitto un piccolo pollaio. Poi pian piano l’iniziativa si è allargata, oggi sono un centinaio. L’imperativo è biologico: niente antiparassitari o diserbanti.

E io che la frutta la compro al supermercato già nel cellophane, io che al mercato distinguo a malapena gli spinaci dalle cime di rapa, sono rimasta estasiata. Dalla passione con cui chi ha scelto un orto ci si dedica, sacrificando sabati e domeniche.  Dall’impegno e dalla perseveranza di chi studia, si documenta, zappa e strappa erbacce, si fa i calli sulle mani.  Dall’orgoglio di chi porta in tavola i piselli che ha visto spuntare a fatica. Dalla riscoperta del significato di termini abusati come biologico e chilometro zero. A riprova del fatto che anche Palermo ha un’anima, green in questo caso.

Pubblicato il 17 gennaio 2015 su www.dipalermo.it


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